Il lavoro creativo dello scienziato e quello del musicista non sono poi così distanti e sono accomunati dal fatto che all’«intuizione» fa seguito un impegno di «ore e ore, giorni, mesi e anni», e proprio come la scienza, anche l’arte dovrebbe avere «importanza civica». Ne è convinto Nicola Piovani, compositore e direttore d’orchestra, noto in tutto il mondo per le sue colonne sonore. Quella de “La vita è bella” fu premiata con un premio Oscar nel 1999. Un sapiente mix di spensieratezza e dolore, che accompagna il film di Roberto Benigni. Lui, però, racconta di ritenere il suo lavoro migliore “Il canto dei neutrini”, un concerto ispirato dalla scienza e dal «sentimento evocato dalla natura invisibile». Piovani sarà uno degli ospiti di punta di Trieste Next, il festival della ricerca scientifica del capoluogo Fvg che quest’anno è promosso anche da Nord Est Multimedia (Nem), il gruppo che edita anche questo giornale. Trieste è per lui è «una città seducente in riva a un mare solenne », che lo ha «conquistato», quando a gennaio 2022 mise in scena la sua prima opera “Amorosa presenza”, un ritorno a teatro con le mascherine, mentre il Covid-19 ancora imperversava. Salirà sul palcoscenico del Verdi – «un magnifico teatro», lo definisce – per una serata evento alle 21 di sabato 28 settembre. Per partecipare ci si può registrare sul sito triestenext.it/programma, fino ad esaurimento posti.
Maestro Piovani, sentendo il suo nome si pensa subito a “La vita è Bella” , Beautiful that way e alla colonna sonora per cui vinse il premio Oscar. Ma qual è il suo lavoro a cui è più affezionato? «Il lavoro che penso mi sia riuscito meglio è “Il canto dei neutrini”, un concerto per violoncello e orchestra che ho scritto nel 2012, una partitura in cui provo a mettere in musica il sentimento che mi evoca la natura: ma non la natura visibile – il tramonto, il mare, gli uccelli – bensì la natura invisibile: gli elettroni, i buchi neri, i neutroni e, appunto, i neutrini. Penso a un mondo ricco di dinamiche e di dialettiche interne affascinanti che noi possiamo solo immaginare. Mettere in musica è un modo bello di immaginare».
Qual è il legame tra musica e scienza? Ci sono delle somiglianze tra il lavoro creativo dello scienziato e quello del musicista? «Ci sono molte somiglianze, molte di più di quante se ne sapessero un secolo fa. Ormai sono tanti gli scienziati che ci raccontano come le nuove idee non nascono da un’applicazione razionale ma, molto spesso, da un’intuizione, un’ispirazione che poi viene messa a terra da ore e ore di lavoro, per giorni, per mesi, per anni. Ma la partenza non è razionale, è intuitiva, ispirata appunto. Lo spiega chiaramente l’augusto professor Giorgio Parisi nei suoi libri. I percorsi della ricerca nella scienza e nella musica, fatte le debite differenze, hanno molte parentele».
Il tema di Trieste Next è “Gli orizzonti dell’intelligenza”. In un’intervista ha detto che presto sparirà la figura del compositore per i film, farà tutto l’AI. Rischiamo veramente che l’arte sia standardizzata e automatizzata da algoritmi? Quanto ne perderebbe l’umano? «In realtà, alla domanda se l’AI potrà in futuro sostituire i compositori, ho sempre risposto che forse potrà sostituire anche gli ascoltatori, gli spettatori. Se cediamo alle paure, al panico distopico non c’è fine. L’AI: c’è chi la esalta e chi la teme. Io credo che invece faremmo bene tutti a studiarla, a comprenderla e imparare come usarla a fin di bene».
È difficile immaginare un film senza colonna sonora. La musica contribuisce in modo unico a descrivere emozioni e sensazioni. Quanto è importante la trama, una storia per la musica? «Per come lavoro io, la storia, la trama è il punto di partenza per qualsiasi scelta musicale. La storia, il racconto ci suggerisce i passaggi emotivi che possono tradursi in musica. Naturalmente nei binari della poetica del regista».
Diversi suoi ultimi componimenti come l’opera per ragazzi “Il labirinto di Creta” ispirata al mito di Teseo o la cantata “Il sangue e la parola” che guarda all’Orestea di Eschilo, usano il codice del mito greco. Come mai? «Perché le favole dell’antica mitologia greca sono fra i più potenti racconti di tutti i tempi. Personaggi di un pantheon politeista, storie di più di due millenni fa, ingranaggi narrativi che sono fra i più attuali che conosco, pensate dai più grandi sceneggiatori di tutti i tempi».
Per i greci la musica era importantissima, e parte fondante dell’educazione alla cittadinanza, così come lo era il teatro. Si tratta di lezioni dal passato a cui attingere? «Se anche noi oggi tenessimo conto di quelle lezioni daremmo più importanza civile all’arte – l’arte, ancor prima della cultura. Soprattutto per l’Italia, l’arte è un bene prezioso che andrebbe protetto da clientelismi e dilettantismi. Chi è al timone della cultura italiana dovrebbe tenere una rotta ben salda verso l’arte, non verso la spartizione delle poltrone».
Quali i prossimi progetti? «È in uscita l’ultimo film che ho musicato: “Il treno dei bambini” per la regia di Cristina Comencini, tratto dall’omonimo romanzo di Viola Ardone, un film che mi ha commosso e per il quale ho lavorato con gioia e entusiasmo. Per il futuro, ho in cantiere una nuova opera per coro e orchestra, ma è prematuro parlarne. E, in mezzo, tanti concerti: a Roma, a Buenos Aires, a Praga, a La Spezia…».
Trieste è la città dove c’è stata la prima mondiale di “Amorosa presenza” . Che rapporto ha con la città? «Trieste è una città che ho frequentato molto durante l’allestimento dell’opera “Amorosa presenza” al magnifico teatro Giuseppe Verdi. Una città che mi ha conquistato di giorno in giorno. Le città le capisci solo se le vivi, non se le visiti e basta. Io non ho la vocazione del turista. È una città seducente in riva a un mare solenne, una città in cui ho lavorato molto bene per quella che lei chiama “La prima mondiale” della mia opera. Peccato che la prima mondiale, secondo il costume dei teatri italiani, coincida quasi sempre con l’ultima. Le possibilità di replicare un’opera contemporanea in Italia sono zero virgola, e una novità non potrà mai entrare in repertorio. Questo non mi rallegra. Ma chissà che non si riesca a modificare le brutte abitudini?» .