Le alluvioni dell’estate 2023 che dopo mesi di siccità hanno colpito – anche – il Friuli Venezia Giulia, hanno mostrato con chiarezza le criticità delle attuali infrastrutture per la gestione dell’acqua. Giulio Boccaletti, direttore scientifico del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti climatici e tra i massimi esperti di sicurezza ambientale, lo spiega nel suo nuovo saggio “Siccità. Un paese alla frontiera del clima” (Mondadori, 2023): «Il clima sta cambiando, e ci richiede di ripensare non solo alle infrastrutture, ma anche al nostro rapporto con il territorio». Ospite ieri a Trieste Next, in dialogo con Andrea Rinaldo – il “Nobel dell’acqua” – Boccaletti riflette su rischi e opportunità di una difficile quanto necessaria transizione verso una più corretta gestione del bene più prezioso.
Professore, la crisi ambientale cambierà il nostro rapporto con il territorio?
«Nell’ultimo secolo l’urbanizzazione ha portato molte persone a lavorare e vivere in città. Il territorio è stato dimenticato: nessuno di noi guada più un fiume per andare al lavoro, e tutti abbiamo l’acqua potabile semplicemente aprendo il rubinetto. Ma il sistema, il clima sta cambiando, e ci richiede di ripensare alla gestione idrica e al nostro abitare».
In che modo?
«Il riscaldamento globale ci imporrà di rinunciare ai combustibili fossili e passare alle rinnovabili. E questo significa costruire parchi eolici e fotovoltaici, e tutte le infrastrutture necessarie per la loro gestione. Il territorio stesso dovrà subire interventi per proteggerci dai fenomeni estremi come siccità e alluvioni, e garantire a tutti risorse idriche e alimentari».
Come intervenire?
«Riconoscendo che abbiamo infrastrutture realizzate in un contesto climatico diverso, non più in grado di garantirci sicurezza idrica. Intervenendo su dighe e stoccaggi, che però significa anche incidere un territorio al quale chiediamo già molto: energia, biodiversità, cibo. Occorre quindi adattare le nostre abitudini: per la gestione dell’acqua, una foresta in salute è importante quanto una diga».
E nell’agricoltura?
«L’agricoltura è cruciale perché usa la stragrande quantità di acqua disponibile. Il nostro settore agricolo è molto produttivo, ma dobbiamo fare delle scelte: se non c’è siccità, non possiamo piantare riso».
Ritiene che i fondi del Pnrr siano stati utilizzati in modo strategico?
«Il Pnrr mostra la nostra cecità: abbiamo pensato molto di più ai cappotti degli edifici che non alla gestione del territorio, ma i cappotti degli edifici non ci salveranno dal cambiamento climatico. È chiara l’agenda su carbonio o digitalizzazione, meno chiara la strategia di adattamento infrastrutturale».