Il Piccolo -

«L’acqua, bene da gestire contro le diseguaglianze»

Andrea Rinaldo è il primo italiano a essere stato insignito dell’International Stockholm Water Prize: è il “Nobel dell’Acqua”, ricevuto – alla presenza di Re Carlo XVI Gustavo di Svezia – lo scorso 23 agosto per i suoi progressi nell’ambito della “eco-idrologia” che indaga il rapporto tra l’acqua dei fiumi e le comunità vive, siano esse umane, animali o vegetali. Docente di Costruzioni idrauliche all’Università di Padova e direttore del laboratorio di Ecoidrologia all’Epfl (Ècole Polytechnique Fédérale Lausanne), Rinaldo sarà ospite a Trieste Next domani, dalle 18 al Teatro Miela. Veneziano verace, l’accademico guarda con apprensione al problema del dissesto idrogeologico. Trieste come Venezia? «Serve un ripensamento radicale». Greta Thunberg? «Ha ragione: nessun privilegio, come l’approvvigionamento idrico, è concesso per sempre».

Professore, come si vince un “Nobel dell’Acqua”? «Thomas Edison soleva dire: il genio è per l’1% ispirazione e per il 99% traspirazione».

Che cosa intende per “governo dell’acqua”? «Quando si realizzano infrastrutture idrauliche, è necessario interrogarsi sull’impatto che queste avranno sulla comunità. Nei miei studi a Sud del mondo è emersa con chiarezza la necessità di rendere equa la distribuzione dell’acqua, laddove una cattiva gestione delle risorse idriche può causare, ad esempio, il propagarsi di malattie».

Quale esperienza l’ha colpita di più? «Ero a Haiti, dopo il terremoto del 2010 e l’epidemia di colera: non una fogna, ma tutti avevano un cellulare. Invece l’acqua è la prima fonte di vita: dobbiamo iniziare a porci il problema di come gestirla, riducendo le disuguaglianze».

Dopo un’estate 2022 segnata da siccità, quest’estate il Friuli Venezia Giulia è stato duramente colpito da alluvioni: due facce della stessa medaglia? «Entrambe conseguenze del cambiamento climatico. Mi preoccupa la vicinanza di questi fenomeni: siamo in presenza di un “diagramma a mazza da hockey”. In cui la situazione, piatta per millenni, in questo secolo è salita vertiginosamente».

E capita anche che basti un temporale perché piazza Unita finisca sott’acqua. «Una legge fisica prevede che per ogni grado di temperatura dell’aria, l’atmosfera può trattenere dal 6 al 7% di vapore acqueo in più. C’è più acqua: dove volete che vada? Cadrà più intensamente e sempre più spesso. E si creeranno bombe d’acqua con una dimensione coincidente con quella critica per i bacini».

Quali soluzioni possibili? «La prima è la mitigazione, cioè ridurre l’emissione di gas serra: ma io sono pessimista. Da quale pulpito possiamo chiedere ai Paesi in via di sviluppo di frenare il loro cammino verso il benessere? Più realistico cercare di adattarci noi, con soluzioni pratiche».

In che modo? «È necessario un ripensamento luogo per luogo: soluzioni puntuali per ricucire la difesa idraulica dei singoli territori. In Italia, ad esempio, questo vuol dire decidere dove un fiume in piena deve esondare: non possiamo lasciare la scelta alla natura, ma creare bacini da allagare in emergenza».

Nella laguna di Venezia si è tentato di arginare il fenomeno acqua alta con il Mose. È una soluzione possibile anche per Grado e Marano? «Il Mose è stata tutto sommato un’opera banale. Avevo 12 anni nel 1966, quando arrivò l’acqua granda, ma in futuro non saranno più eventi eccezionali: a fine secolo, il mare a Venezia sarà più alto di un metro, 80 centimetri a Grado. Il Mose – utile adesso – potrà far poco rispetto alla nuova normalità che ci aspetta: per salvare Venezia, come Grado e Marano, serve un ripensamento radicale».

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