L’INTERVISTA
francesco codagnone
Il più piccolo atomo dell’Universo è anche quello che esercita il più grande fascino nel mondo della ricerca. Dalla bomba H di Edward Teller alla Hydrogen valley transfrontaliera tra Friuli Venezia Giulia, Slovenia e Croazia: l’idrogeno, rarissimo sulla terra ma estremamente abbondante nel cosmo, sarà vettore di nuove risorse di energia. Sandra Savaglio, astrofisica di fama mondiale, ospite a Trieste Next oggi alle 15 in piazza Unità, racconta di quel fascino per l’idrogeno, «l’atomo più piccolo che illumina l’intero Universo» (questo il titolo dell’incontro a Trieste) e che dalla Calabria l’ha portata fino alla Johns Hopkins University di Baltimora, sulla copertina di Time come simbolo dei cervelli in fuga, in Germania all’Istituto Max Planck. E da lì di nuovo all’Università della Calabria, dove oggi Savaglio insegna astrofisica e partecipa alle attività del Parco astronomico Lilio. Il futuro? «Idrogeno verde e onde gravitazionali».
Professoressa, in che modo l’idrogeno illumina l’Universo?
«È protagonista del processo di fusione delle stelle: due nuclei di idrogeno si fondono, formando elio e liberando enormi quantità di energia, i raggi gamma. Radiazione che, “raffreddandosi”, diventa luce ai nostri occhi».
Quale considera il suo risultato più importante?
«Un risultato che mi ha resa felice riguarda i miei studi sull’arricchimento chimico delle galassie: in termini semplici, il nesso tra la quantità di elementi che contengono e la massa delle stelle. L’arricchimento di una galassia può raccontarci, ad esempio, informazioni sulla vita delle sue stelle. Relazioni ben note nell’universo a noi vicino, ma anni fa fui in grado di osservarle anche nell’universo “lontano”».
Quale, invece, la scoperta che spera l’umanità faccia al più presto?
«Mi piacerebbe sapere se ci sono davvero altri pianeti abitati oltre al nostro. Un sogno che invece sto già realizzando è studiare le onde gravitazionali, qui nella mia regione, tra le montagne della Sila».
Perché lasciare la Calabria? E perché farvi ritorno?
«Fare esperienza all’estero è fondamentale per la formazione di uno scienziato. Il problema è quando le menti vanno via e non tornano. Io sono rientrata perché mi è stata offerta la possibilità, un posto nell’Università della Calabria: non tutti hanno quest’opportunità».
È tanto diverso fare ricerca in Italia, Germania o Usa?
«”Quick and dirty”, dicono negli Stati Uniti: l’importante è arrivare prima di tutti. Negli States gli scienziati sono stacanovisti, molto più motivati. Italia e Germania invece sono vicine per rigore, ma lontane per condizioni lavorative: noi rimaniamo indietro quanto a finanziamenti, contratti, salari».
Nella transizione verso fonti di energia rinnovabile, ritiene che i decisori politici debbano dare maggiore ascolto alla comunità scientifica?
«La politica non può fare a meno della scienza. Dopo l’incidente di Fukushima del 2012, ad esempio, Germania e Italia hanno frenato sul nucleare: scelta mossa da preconcetti, priva di fondamento scientifico. Eppure il nucleare è il futuro».
Quali le opportunità dell’idrogeno?
«L’idrogeno verde può fungere da accumulatore di energia per trasporti e industria. E può diventare vettore di energia pulita, a partire da fonti rinnovabili come eolica, fotovoltaico, o appunto calore prodotto nelle centrali nucleari».
Italia, Croazia e Slovenia hanno avviato un progetto pilota di valle di idrogeno transfrontaliera del Nord Adriatico, in parte finanziato da fondi Pnrr. Come giudica questo sforzo?
«Molto positivamente: la crisi climatica riguarda tutti e non conosce confini».
E nel suo ambito, l’astrofisica, quale la prossima sfida per l’Italia?
«L’Italia si è candidata a ospitare l’Einstein Telescope, osservatorio europeo di terza generazione dedicato alla ricerca di onde gravitazionali. Come possibile sede è stata individuata la miniera dismessa di Sos Enattos a Lula, in Sardegna, ma c’è la concorrenza dell’Olanda. L’Europa deciderà entro il 2025: dobbiamo giocarci le nostre carte».