IO LE PATATE LE BOLLO VIVE

Giuliano Grignaschi, responsabile del Benessere degli animali Università di Milano, co-autore di Io le patate le bollo vive (Einaudi)
Roberto Sitia, docente di Biologia molecolare Università Vita e Salute San Raffaele di Milano, co-autore di Io le patate le bollo vive (Einaudi)
Ne discutono con
Mauro Giacca, editorialista quotidiani Gruppo NEM Nord-Est Multimedia
Conduce
Daniela Picoi, comunicatrice scientifica
Abstract
Sarà che si sente all’apice di un’evoluzione ormai quasi bionica, ma si direbbe che, specie in Occidente, Homo Sapiens stia elaborando una visione piuttosto innaturale della vita e della morte. Quest’ultima, soprattutto, con i suoi corollari di dolore e malattia, sembra assumere sempre piú i contorni tutti virtuali del disagio prescindibile. Un virus sconosciuto minaccia di decimarci? Tranquilli, abbiamo già visto il film: prima del finale, «gli scienziati», per quanto poco simpatici siano di solito, troveranno di certo la cura, lo sappiamo. Essenziale è che lo facciano in fretta, come in fretta desideriamo dimenticarci di loro e del virus (o chi per esso), ormai virtualmente debellabile con un farmaco, una terapia, un vaccino. Il come «gli scienziati» li abbiano ottenuti poco importa, in emergenza. Salvo poi cominciare (o riprendere) subito a contestare la sperimentazione biomedica, perché – lo sappiamo – «fa del male» ad animali e piante; e ad aggredire, talvolta anche fisicamente, i ricercatori, che «vivisezionano» senza criterio forme di vita innocenti. Commuoversi o indignarsi di fronte a queste cose è, virtualmente, quasi un obbligo per l’Umano civilizzato, sappiamo anche questo. Ma lo sappiamo davvero? O meglio, che cosa sappiamo davvero della sperimentazione animale? Sappiamo, per esempio, che è soggetta a legislazioni ferree, recenti e in continua revisione? Che un Organismo preposto al Benessere animale è parte integrante di ogni staff di ricerca? Che i programmi di sostituzione delle cellule viventi sperimentali con modelli in vitro o in silico stanno facendo passi da gigante? Che l’apporto di un animale a un protocollo di ricerca può limitarsi a un piccolo prelievo di sangue?

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